Mi chiamo Alejandro Peralta.
Gestisco la “Taberna del Marinero”, un vecchio locale senza pretese dalle pareti un po' scrostate che si trova lungo la strada che dal porto conduce al faro di San Juan de Salvamento.
La leggenda dice che ho trascorso la mia vita navigando oceani.
Tutto sommato può essere considerato anche un bel modo di vivere, in realtà ho sempre vissuto qui in attesa di un'occasione che non è mai arrivata.
E ora, vecchio e sgangherato, aspetto che insieme ai radi avventori del luogo, ogni tanto arrivino loro.
Li riconosco da come aprono in modo deciso la porta della taverna.
Spesso hanno uno zaino in spalla portato con noncuranza. I capelli sono arruffati dal vento e dalle barbe incolte spuntano gote rosse per il gran freddo. Entrano e con uno sguardo di sfida perlustrano avidi il locale, si soffermano sulle reti attorcigliate e appese o sulle antiche foto di memorabili battute di pesca e individuano subito la posizione migliore, il tavolo più vicino alla piccola stufa accesa al centro della stanza.
Da dietro il banco io li vedo, riflessi nello specchio, togliersi lo zaino e sistemare il giaccone nell'attaccapanni presso la porta del bagno. Poi, tornando a sedersi, osservare con curiosità le vecchie carte nautiche ormai sbiadite dagli anni che tengo appese alle pareti. Sono mappe di queste acque, ma per la loro fantasia sono come miele per le mosche; li osservo seguire con la mano la rotta intorno a Capo Horn, indugiando su qualche ignoto segno di matita o su di un foro del compasso. Poi la rotta riprende e giungono infine a puntare il dito qui, a Ushuaia, tralasciando il polo Sud, quasi fosse quella una mèta impossibile anche solo a pensare.
Li osservo tornare soddisfatti al tavolo e a un loro cenno rispondo:
- Prego Senor, cosa le posso portare ?
- Qualcosa di caldo, magari un caffè
- Bueno
- ...e poi le vorrei rubare un poco del suo tempo, lei è Don Juan, vero...?
- In realtà mi chiamo Alejandro, ma tutti mi conoscono come Don Juan. Fu un capitano inglese che tanti anni fa mi volle soprannominare così, a ricordo di uno sciamano che aveva conosciuto in Messico e che lui diceva mi somigliasse molto.. Io ero molto giovane e non mi opposi, così......ma ora le preparo il caffè e arrivo.
Mi trascino lentamente verso la macchina del caffè e penso che anche oggi avrò da raccontare le solite vecchie storie. Mi aggiusto il pesante maglione da marinaio che uso come una divisa mentre preparo la tazza con lo zucchero e intanto lancio uno sguardo fuori dalla finestra. Il grigio è quello di sempre, forse ancora più sbiadito dall'autunno che avanza inesorabile. In questo posto in fondo al mondo non c'è colore sufficiente a sentirsi un poco più vivi, e nemmeno uno che ci colori le giornate come vorremmo. Il mare prosegue ininterrotto il suo viavai, a volte è piombo, a volte argento, qualche volta è solo acqua.
Avvicinandomi al tavolo osservo il mio interlocutore. E' giovane, e come tanti altri prima di lui è arrivato in questo posto credendo di trovare risposte. Povero illuso. Non basteranno le sue domande, nemmeno dovesse durare questo chiedere muto sino alla fine dei tempi. Che il termine delle cose su questa immensa palla d'acqua e catrame non è qui dove finisce la terra, a Ushuaia, ma ben più in là.
Si trova in un posto che nessuno, nemmeno io che vivo qui da sempre, può davvero dire di aver mai conosciuto.
Tuttavia lui, come gli altri prima, vuole risposte.
Sono poeti che arrivano qui coi taccuini già colmi di scarabocchi, e cantautori maledetti con lo sguardo sognante, o scrittori in crisi d'ispirazione. Hanno attraversato la Patagonia intera con le loro biciclette colme di stracci o su auto sgangherate per la tanta ghiaia masticata. I più fortunati sono scesi riposati dagli aerei o dai bus che arrivano e poco dopo ripartono, poco bagaglio e tanta curiosità dietro quegli occhiali da sole.
E tutti loro sono convinti che in questo luogo estremo ci sia davvero un perchè ai loro dubbi. Cosa diavolo cercano qui che non possano trovare già dentro di loro ? Chissà.
Così si beano ad ascoltarmi raccontare di antiche storie di baleniere e marinai audaci con fiocine e forconi; io li accontento evocando improbabili Achab di tempi andati e tralasciando le più solide verità. Come quella di Pepe Monzon, ferito al ventre dal gancio d'una gru e che sul molo correva tenendosi le viscere, perdendo per strada pezzi della sua stessa mer.da per poi cadere terrorizzato a terra, e lì morire ad occhi aperti dopo una breve agonia.
Si freddano i caffè nelle tazze mentre narro di caccia ai condor, lassù nei ghiacci lontani tra le Ande. E accendendomi la pipa ammicco, mentre il mio ricordo corre a Juanita, data in sposa bambina dai suoi genitori per un maiale e un sacco di farina. Rammento ancora il villaggio, ed il suo sguardo che sarebbe diventato di donna spegnersi su di me ragazzo mentre il suo nuovo padrone la caricava sul carro che l'avrebbe portata lontano, a nord.
Furiosamente scribacchiano appunti confusi nel sentirmi raccontare la violenza del vento che capovolse navi ed equipaggi, del freddo che morse le loro anime sino a vederne il sangue gelare a lato delle orecchie.
Io parlo e parlo ancora, ma taccio loro della mia vita così usuale, delle mie mani da muratore col bianco onesto di calce e sabbia a far domenica da messa e al lunedì da pane quotidiano.
Io racconto solo storie, lo faccio per loro.
Sono sempre le stesse, che mascherate da verità confusa faranno parte di canzoni, o di pagine stampate di chissà quale altra fantasia.
Ma a loro bastano e avanzano questi scampoli di vita, in un continente soggetto a regole come ogni altrove, ma che narrato dalla mia voce roca prende profumi d'avventura come fosse un altro mondo.
La sua tazza adesso è vuota, fuori i lampioni bianchi agitati dal vento tremolano insicuri sulla strada deserta, mentre nel porto in lontananza brillano le luci da cattedrale di una grande nave da crociera che si presenta a sirene spiegate. Quel suono nella notte che sta scendendo è come il segnale che non è più tempo d'invenzioni, ed è' come un richiamo ineludibile anche per lui che con gesto plateale richiude il taccuino, si alza e si riveste.
E mentre mi guarda con rispetto riporre la pipa nella sacca la sua voce soddisfatta mi comanda:
- Alejandro, la cuenta por favor.
Dentro di me sorrido, anche per oggi la recita è andata a buon fine.
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